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Le malattie psicosomatiche e la somatizzazione.

La malattia psicosomatica e in generale il fenomeno della somatizzazione costituiscono uno specifico campo di studio nel complesso ancora poco conosciuto sia dal vertice psicologico-fenomenologico che da quello medico-organicistico, nonostante negli ultimi anni si sia moltiplicato l’interesse per questo genere di problematiche e siano state proposte -da entrambe le angolazioni - diverse chiavi di lettura del fenomeno della somatizzazione. In realtà, Freud stesso ha inaugurato, all’inizio della sua carriera, questo filone di ricerca nell’ultimo decennio del secolo scorso, con i famosi “Studi sull’isteria”, e ciò testimonia del ruolo centrale che, da sempre, tale patologia riveste nell’ambito delle malattie psichiche e nel coinvolgimento del corpo in qualità di medium privilegiato e come strumento di comunicazione della sofferenza mentale.

Con il termine di “malattie psicosomatiche” si intende infatti quell’ampia fascia di patologie che si situano tra lo psichico ed il corporeo, con produzione di una sintomatologia di tipo funzionale ed organico in cui è possibile ravvisare una origine psicologica. Oggigiorno, con i ritmi di vita sempre più veloci ed il moltiplicarsi dei fattori di stress cui ognuno di noi è sottoposto, le malattie psicosomatiche sono in netto aumento e rappresentano le risposte estreme dell’organismo, inteso nella sua interezza di corpo-mente, di fronte a problematiche di natura affettiva ed emotiva e sotto le pressioni di tipo socio-ambientale.

Il meccanismo della “somatizzazione” può intendersi, di conseguenza, come il processo che è alla base del disturbo psicosomatico, se – stando alla definizione classica del termine – intendiamo la somatizzazione stessa come il meccanismo trasformativo che, a partire da specifici contenuti psichici, opera un cambiamento a livello somatico, attraverso il coinvolgimento dei sistemi endocrino ed immunitario. Da un punto di vista neurologico, infatti, nello studio della malattia psicosomatica è di primaria importanza il collegamento tra il cervello ed i sistemi suddetti attraverso l’azione reciproca di ormoni e neurotrasmettitori, poichè studi sperimentali hanno accertato la correlazione tra stress e l’alterazione di alcuni ormoni.

Alcuni autori hanno poi ipotizzato in questo tipo di disturbi la presenza di una iperattività dei sistemi nervosi parasimpatico e simpatico, iperstimolati e condotti ad un disfunzionamento cronicizzato, unitamente ad alcuni altri fattori predisponenti tra i quali la specifica personalità del soggetto, una particolare “vulnerabilità d’organo” (cioè il fatto che ogni individuo può presentare un organo “bersaglio” sul quale vengono canalizzate di preferenza le tensioni interne), ed un certo tipo di ambiente esterno.

Da un' ottica più propriamente psicologica, le difficoltà esplicative presentate dalle malattie psicosomatiche sono altrettanto ardue e complesse; il meccanismo della somatizzazione, infatti, è il cardine sul quale si impernia la dinamica patologizzante veicolando contenuti di natura psichica che tuttavia si “prestano” ad un opera di traduzione-conversione sul versante corporeo.

Immaginiamo, intanto, semplificandola in termini elementari, una situazione tipica in cui potrebbe verificarsi un disturbo psicosomatico: una aggressività intrapsichica eccessivamente inibita viene canalizzata, in base a precedenti modalità di gestione di simili vissuti emotivi, attraverso un meccanismo di somatizzazione producendo un sintomo organico (p.es. a livello di apparato gastroenterico).

In una situazione simile, è come se agli estremi opposti del campo di possibilità avessimo da un lato la “mentalizzazione” di quei contenuti aggressivi, cioè la loro elaborazione in termini di presa di coscienza, riconoscimento, accettazione, contestualizzazione, insomma la possibilità di viverli a livello psichico; dall’altro, la loro espressione in forma occultata, pur sempre presenti ma come fossero codificati in un altro linguaggio, quello corporeo appunto. Ecco dunque che il corpo si incarica di comunicare, a sè stessi ed agli altri, ‘come può’, la presenza di contenuti “disturbanti” per la coscienza, attraverso il ricorso al sintomo fisico. In questo senso specifico, la somatizzazione costituirebbe una sorta di “codificazione” di contenuti affettivi ed emotivi difficilmente (o affatto) mentalizzabili, che altrimenti andrebbero perduti se non venissero, appunto, registrati nella matrice psico-corporea primaria.

Da quanto detto appare chiara la duplice funzione del meccanismo della somatizzazione e quindi del sintomo psicosomatico che, se da un lato, attesta un avvenuto fallimento (antico o recente) della capacità di mentalizzazione, cioè della elaborazione psichica di certi vissuti affettivi ed emotivi, dall’altro costituisce il mezzo che consente comunque di esprimerli (e contenerli o “trattenerli”…), all’interno della propria corporeità, in modo tale che abbiano un loro intrinseco valore di segnale, di comunicazione, anche se in forma camuffata.

Se il concetto della eccessiva stimolazione o compressione di contenuti affettivi ed emotivi che “traboccano” nel sintomo psicosomatico non presenta quindi alcuna difficoltà alla comprensione (si pensi p.es. all’azione diretta dello stress sul sistema cardiocircolatorio), le implicazioni ulteriori che la somatizzazione rivela ad una lettura più approfondita della propria fenomenicità pongono interrogativi che riguardano aspetti pressochè insondabili del duplice rapporto tra mente e corpo e tra coscienza e inconscio, e che risiedono nelle modalità di “registrazione affettiva” di eventi in età neonatale e nell’utilizzo del corpo quale primo “contenitore” delle pulsioni libidico-distruttive, prima che si strutturi la capacità di pensiero (aspetti, questi, studiati negli ultimi anni soprattutto in ambito psicoanalitico da autori quali D. Anzieu, J. McDougall, M. de M’Uzan, e sul versante delle ricerche sulle prime interazioni madre-bambino da D.N. Stern, R.N. Emde, etc.…).

Ma, per rimanere su un piano di lettura meno specialistico, potremmo limitarci in questa sede ad osservare la somatizzazione in termini clinico-descrittivi distinguendo in maniera più precisa le diverse forme principali in cui si manifestano le malattie psicosomatiche, rimandando invece ad altra occasione l’approfondimento di quegli aspetti del fenomeno che chiamano in causa le problematiche precoci insorgenti nella strutturazione del senso di sè e nella relazione primaria genitore-bambino.

Da un punto di vista clinico, infatti, le malattie psicosomatiche interessano con una certa incidenza le seguenti regioni:

 

Nel sistema cardiovascolare i disturbi psicosomatici sono solitamente differenziati in disturbi “funzionali” minori (palpitazioni, aritmie, sensazioni dolorose, disturbi vasomotori, etc.) e disturbi maggiori, dove si ha un vero e proprio danno dei tessuti (p.e. cardiopatia ischemica ed ipertensione essenziale). Per quanto riguarda la genesi dei primi, è stato più volte ribadito il ruolo predisponente di vissuti di tipo abbandonico e di precoci separazioni nella vita affettiva dei soggetti interessati. Per i disturbi maggiori, invece, lo stress psichico continuo unito ad alcune caratteristiche di personalità (tra cui forte competitività, ambizione, aggressività) sembra costituire il fattore predisponente alla cardiopatia ischemica, mentre un’eccessiva inibizione della propria aggressività potrebbe indurre cronici stati di ipertensione.

Tra i disturbi del sistema respiratorio, quella che presenta una alta correlazione con cause di natura psichica, soprattutto in termini di stati d’ansia di intensità variabile, è l’asma bronchiale, seguita dagli “spasmi respiratori affettivi” e dalla “sindrome da iperventilazione”. L’asma, caratterizzata da periodi alterni di costrizione bronchiale ed asintomatici, presenta sintomi quali dispnea, tosse e respiro forzato, che sono il prodotto di una iperreattività dovuta , oltre al fattore psicologico, anche a stimoli esterni (allergie, aria fredda, farmaci, infezioni…). Un ruolo importante nella genesi della patologia asmatica è svolto inoltre dal sistema nervoso autonomo, collegato alla muscolatura bronchiale.

Gli spasmi respiratori di natura affettiva sono contrazioni della respirazione che intervengono solitamente nei bambini piccoli (da pochi mesi ai 4-5 anni), e che sono associabili ad episodi di intensa frustrazione o traumatici ai quali il bambino risponde con manifestazioni di rabbia e pianto, seguiti da un’apnea respiratoria. In questo caso l’attenzione è solitamente orientata sulla qualità del rapporto genitore-bambino e sulla capacità della figura genitoriale di modulare sentimenti di collera e frustrazione provati dal bambino.

La sindrome da iperventilazione si caratterizza per la presenza di respiro accelerato e poco profondo che produce palpitazioni e senso di vertigine; è frequente l’associazione con l’attacco di panico e il disturbo d’ansia acuto. In tali casi si ricorre, come prima modalità di intervento, alla inspirazione di aria ricca di anidride carbonica (inspirare più volte in un sacchetto di carta…).

Tra le malattie psicosomatiche che interessano l’apparato gastroenterico possiamo distinguere tra disturbi “psicogeni”, che presentano una eziologia puramente psichica (anoressia, bulimia…) e disturbi “psicofisiologici” , in cui contenuti di natura psicoaffettiva vengono progressivamente somatizzati nelle regioni interessate, producendo nel tempo sensazione di malessere ma anche lesioni strutturali dei tessuti organici. In questo senso è opportuno vedere il contesto generale di sviluppo della malattia e lo “stile di vita” del soggetto.

Tra i disturbi di questo secondo tipo troviamo numerose forme, dalle gastriti all’ulcera gastrica, dalle coliti ai disturbi dell’evacuazione, dalle turbe intestinali alla sindrome del colon irritabile, della rettocolite ulcerosa e al Morbo di Crohn. La componente psicologica in questi casi si identifica con determinate strutture di personalità dei soggetti che presentano simili disturbi, sulla base del collegamento tra sentimenti di collera ed ostilità con ipersecrezioni gastriche ed ipermotilità intestinale. Le problematiche psichiche presenti nei casi di lesioni della mucosa gastrica sembrano quelle connesse alla dipendenza (soggetti pseudo-indipendenti, che negano la propria dipendenza ; e soggetti passivo-dipendenti, con possibili tratti aggressivi), mentre nelle patologie che interessano il colon appaiono in causa fattori collegati con una personalità di tipo rigido e tratti di ossessività-compulsione e tendenza all’inibizione dell’aggressività.

Tra le malattie dermatologiche il collegamento con le cause psicologiche sembra particolarmente frequente nelle dermatosi ricorrenti, dove il ruolo dei fattori emozionali inciderebbe sia nella genesi che nella cronicizzazione dei disturbi. E’ poi importante considerare l’aspetto di “visibilità” che molte forme di dermatosi presentano, in quanto veicolano vissuti emotivi particolari riguardanti l’immagine di sè e la perdita dell’attrattiva fisica e che sono in rapporto con sentimenti di autosvalutazione, vergogna, punizione e difficoltà nella modulazione della aggressività. In questi casi, la funzione della pelle come “primo contenitore” e come confine del senso di sè del bambino, può rimandare a scenari molto primitivi circa l’instaurazione della patologia ed a contenuti psichici originari prevalentemente centrati su dinamiche di natura fusionale-simbiotica ed esprimenti una conflittualità relativa ai processi primari di contenimento e di separazione dall’ambiente materno.

Tra le forme più frequenti riscontrate in questo ambito ricordiamo soprattutto le dermatiti atopiche, l’eczema, la psoriasi, ma anche forme collegate quali l’alopecia areata, il prurito, l’iperidrosi, fino ad arrivare -nei casi più severi- a condotte autoaggressive che sottendono un più intenso malessere psichico (lesioni autoindotte, tricotillomania, deliri di tipo ipocondriaco).

Per quanto riguarda poi le malattie dei sistemi endocrino ed immunitario, alcune sembrano presentare un legame più stretto con la componente psicologica, per quanto tuttavia appaiono implicati nel complesso sia il sistema endocrino che il sistema nervoso centrale nella reciproca funzione di regolazione dei meccanismi di trasmissione cellulare: comunque, l’iper- e l’ipotiroidismo (collegati ad una alterazione dei livelli di ormone tiroideo), il Morbo di Addison (insufficienza surrenalica con concomitanti stati depressivi e rallentamento psicomotorio), la Sindrome di Cushing (iperstimolazione surrenalica con stati alternati depressivo-ansiosi) e lo stesso diabete (anche se in maniera indiretta e come conseguenza della ipoglicemia) figurano tra le malattie a connotazione psicosomatica.

Studi recenti, infine, sui fattori che possono alterare le condizioni di funzionamento ottimale del sistema immunitario hanno indicato inoltre il ruolo centrale svolto da esperienze emotive collegate a sentimenti di perdita, abbandono, separazione ed isolamento, che inciderebbero in maniera determinante su alcuni meccanismi di risposta anticorpale mediate da alcuni ormoni (ACTH).

In conclusione, risulta chiaro che un ulteriore progresso nella chiarificazione dei processi e dei meccanismi implicati nella genesi e nello sviluppo delle malattie psicosomatiche e dei sottostanti processi di somatizzazione deve necessariamente passare per una visione integrata delle diverse aree di studio, in cui la dimensione neuro-biologica e quella psicologica siano affiancate e non reciprocamente escludentisi, e che tenda ad una ricomposizione della natura unitaria dell’uomo nel suo complesso.

Caso clinico esemplificativo.

Al momento del primo incontro in studio Sara è una ragazza di 23anni; studentessa, proviene da una famiglia benestante che le concede molto in termini ‘materiali’ (viaggi, studi, affitto, auto e un congruo assegno mensile); definisce buono il rapporto coi genitori, ma un po’ freddo e stereotipato, soprattutto con la madre. Ha una sorella maggiore, sposata, con la quale non è mai riuscita ad instaurare un rapporto più coinvolto e gratificante. Le sue molte letture e interessi (dai classici a saggi di filosofia e sociologia, con divagazioni in ambito cinematografico ed ecologico-naturalistico) la impegnano per buona parte della giornata; non ha una vita sentimentale soddisfacente e le sue scarse relazioni con i ragazzi si caratterizzano per la superficialità che imprime al rapporto e per il suo atteggiamento apparentemente evitante.

Dall’anamnesi, risulta che intorno ai 14 anni le è stata diagnosticata una sintomatologia collegata ad una forma sfumata di ‘rettocolite ulcerosa’, che è rimasta stazionaria negli anni successivi ma con periodiche crisi di riacutizzazione. In seguito ha avuto periodi di eccessivi cali ponderali, dovuti anche al ricorso a ripetute diete dimagranti fai-da-te, nonostante non fosse mai soprappeso.

Si rivolge alla psicoterapia per un disturbo insorto negli ultimi mesi, consistente in ripetute e intense crisi di panico che l’hanno costretta a frequenti ritiri forzati in casa per evitare possibili nuovi episodi in pubblico, dopo il primo, occorsole su un autobus affollato, dove per dieci interminabili minuti si è sentita scivolare in un caos di sensazioni angoscianti e annichilenti che le hanno letteralmente tolto il respiro.

Sara ha vissuto questi primi episodi di panico come un ‘tradimento del corpo’, un venir meno delle sue risorse fisiche e psichiche che l’hanno lasciata sola e spaventata di fronte alla paura di perdere coscienza, svenire o forse anche morire. Gli attacchi di panico rivelano un crollo a livello somatico che sembra progressivamente assumere nella terapia il significato della incapacità della mente ad affrontare il suo statuto ‘adulto’, quindi il mondo reale, la vita degli affetti e delle emozioni.

Il proiettarsi in una dimensione sociale allargata, fuori dello scenario claustrofobico della famiglia d’origine, è ambivalentemente vissuto dalla paziente come movimento di emancipazione dalla dipendenza genitoriale e insieme come strappo lacerante e disidentificante rispetto ad un Sé sentito ancora troppo vacillante e precario; esperienza dalla quale al contempo la mente si difende scaricando sul corpo le sue difficoltà di entrare in relazione diretta con l’esterno, con gli altri significativi prima e poi con gli altri in genere, con i compiti e le nuove responsabilità della vita adulta, così come con l’irruzione di una temporalità più matura e l’angoscia dell’idea della morte dei propri cari e quindi della propria morte, affacciatesi con il superamento della soglia adolescenziale.

In particolare, ciò che si osserva dal punto di vista intellettivo è una ipertrofia del pensiero soprattutto nella sua funzione di ‘astrazione’ e categorizzazione, che inaugura nel passaggio tra adolescenza ed età (pseudo)adulta una modalità di entrare in rapporto col mondo basata quasi esclusivamente su dichiarazioni di principio, prese di posizione che ricalcano assunti teorici e filosofici (avidamente acquisiti con le letture e lo studio metodico) formalmente ineccepibili e soprattutto logici e consequenziali, ma che riflettono una grave carenza a livello empatico e la quasi assoluta incapacità di ‘mettersi nei panni degli altri’ nelle situazioni concrete della vita quotidiana.

La sua è una personalità strutturata in modo tipico; ipertrofia della funzione di pensiero e sua ossessivizzazione, avente una funzione difensiva e pseudo-stabilizzante rispetto alla variabilità delle esperienze di realtà attraverso il ricorso alle abitudini, al metodo, a schemi mentali che hanno la funzione di rendere massimamente controllabile il proprio ambiente vitale, salvo poi trovarsi quasi completamente ‘in balia delle onde’ e senza appigli una volta fuori del proprio ‘guscio’. Tale apparente ‘corazzamento’ avviene a scapito delle sensazioni, aborrite e considerate alla stregua di elementi incontrollabili e quindi pericolosi, per cui il soggetto sviluppa una sempre maggiore tendenza ad evitare il coinvolgimento emotivo ed affettivo, che si estende progressivamente all’ambito relazionale in genere, percepito in termini di sostanziale disturbo e di fastidio ‘da eliminare’ quando possibile, onde poter immergersi in una condizione (ovviamente solo illusoria) di calma piatta che finisce per somigliare ad un ‘silenzio cimiteriale’. Il risultato, per Sara, è che finisce col vivere effettivamente in una perenne ‘guerra di trincea’, strutturando difensivamente il proprio quotidiano in modo da evitare accuratamente tutte quelle situazioni potenzialmente ‘a rischio’ che possono far riaffiorare lo spauracchio della crisi panica.

Emergerà dunque come Sara abbia sempre vissuto il proprio corpo come ‘traditore’, estensione di sé su cui non si può fare alcun affidamento per sostenere l’aspetto di un Ego iperrazionale ma fragilissimo, a partire dalla iniziale tendenza disgiuntiva tra mente e corpo rappresentata dall’originario sintomo psicosomatico, poi espressa tangenzialmente anche attraverso quello anoressiforme, quindi dilagata con le crisi di panico; queste ultime sembrano rappresentare qui una prosecuzione e dinamicizzazione delle precedenti forme di muto malessere corporeo, che si fa portavoce degli antichi conflitti interni irrisolti. Ma nel corso della psicoterapia Sara scoprirà come il ‘tradimento’ è invece della mente, o meglio è la funzione iper-intellettualizzata della sua mente che la porta ad attribuire al corpo le sue debolezze interne, le sue fragilità antiche e l’incapacità di affrontare la realtà quotidiana e il rapporto con gli altri, così come in passato aveva sviluppato la forma psicosomatica colitica e poi amplificato ed estenuato minimi inestetismi fisici ricorrendo a drastiche diete, in uno scenario interiore caratterizzato da un dilagante sentimento di vuoto e di solitudine.

Nel corso delle sedute, la psicoterapia riuscirà a dare le parole al corpo sofferente affinché possa progressivamente aprirsi ad un nuovo scenario di senso, ricollegando affettività antica e presente e aiutando Sara a nominare, forse per la prima volta, le proprie emozioni.

F. M.

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